VELE FACCIO VEDERE


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Baleniera di New Bedford

I miei lavori > Baleniera

Scala 1:16
Modello interamente autocostruito su disegni della Soc. Amati S.p.A. di Torino.
Si tratta dell'imbarcazione posta sulle navi baleniere con le quali si dava la caccia alle balene. Nel modello
Alice Mandell queste imbarcazioni, nella stessa scala della nave, sono sospese esternamente alle gru; in ognuna di esse vi sono riportati gli stessi oggetti del modello in scala maggiore.

A lato:
in primo piano la baleniera vera e propria, alle spalle la nave baleniera sulla quale erano sospese alle gru completamente attrezzate, coiè con tutti gli accessori al proprio posto.

Tipica baleniera con fasciame sovrapposto, usata fino al 1860. Barca leggerissima ma robusta, con prua e poppa simili per navigare in entrambe le direzioni, portava, oltre a sei uomini di equipaggio, circa 40 oggetti, dotazione in parte per la barca ed in parte per la caccia vera e propria. Questi oggetti erano stivati sempre allo stesso modo in tutte le imbarcazioni, per far si che ciascun membro dell’equipaggio sapesse ritrovarli in ogni momento, qualunque fosse la lancia adottata.
La caccia alle balene seguiva uno svolgimento rituale. Avvistata la preda dalla coffa della nave madre, la vedetta gridava il famoso
“Thar she blowes!” (laggiù soffia o genericamente soffia – soffia) e immediatamente venivano calate in mare le baleniere.
Gli uomini remavano fino ad una certa distanza dalla balena, poi fermavano e posavano i remi per proseguire silenziosamente con le pagaie.
Al timone vi era di solito un ufficiale in seconda che, per vedere meglio, si elevava poggiando i piedi sugli scalini dei dormienti; ben saldo, con un ginocchio nella tacca del baglio di prua, il ramponiere o arpioniere aspettava, arpione in mano, che l’imbarcazione accostasse silenziosa alla balena, fino ad arrivare a distanza di tiro, all’interno di quello che
Herman Melville nel suo Moby Dick definì “Magico cerchio di spuma” .
Quando l’animale scopriva il punto debole fra la testa e il tronco, l’arpioniere sferrava l’attacco lanciando a tutta forza l’arpione.
Colpita la preda, il secondo gridava l’indietro tutta ed i rematori con i remi lunghi si allontanavano celermente dal gorgo che la balena ferita creava. Nel frattempo ramponiere e secondo si scambiavano i ruoli, poiché a causa della maggiore esperienza spettava a quest’ultimo il compito di finire la balena.
La sagola, tesa dal tiro dell’animale infuriato, sfilava celermente dal mastello e per frenarla il timoniere, munito di guanti, le dava volta (la faceva girare) intorno alla bitta di poppa, non appena l’animale allentava il tiro; durante queste operazioni ogni movimento sulla baleniera era fatto con estrema cautela, onde evitare il rovesciamento della stessa.

La vera storia di MOBY DICK
Un capodoglio maschio, grigio con una cicatrice bianca sul capo, attaccò nel 1810 una nave baleniera nei pressi dell’isola di Mocha, da cui il nome Mocha Dick, e per trent’anni sfidò tutte le baleniere che lo incrociarono.
Mocha Dick restava immobile per lasciarsi avvicinare dalle baleniere, quindi partiva di scatto cercando di colpirle ed affondarle, altre volte spariva sott’acqua per lungo tempo e poi, riemergeva all’improvviso sotto le imbarcazioni, travolgendole e rovesciandole.
Nell’ottobre del 1842 il capodoglio colpì una goletta che trasportava legname, frantumandone la poppa. Grazie al suo carico la nave non affondò ed il capitano, incontrando tre navi baleniere, le avvisò dell’accaduto. Mentre progettavano la caccia a
Mocha Dick, esso apparve alle vedette. Calate in mare due lance per ciascuna nave, gli uomini iniziarono la caccia e, non appena il capodoglio riemerse, venne colpito dal ramponiere della Yankee.
Mocha Dick rantolò, emise un grosso getto si mosse debolmente per poi giacere immobile, ma quando i balenieri si avvicinarono, il capodoglio esplose tutta la sua vitalità, scagliandosi contro la lancia della Crieff e dirigendosi verso una delle Dudley. Riattaccò senza sosta le restanti baleniere, affondò la goletta rimasta nel frattempo deserta e, riemergendo all’improvviso da sotto la Crieff ne staccò di netto il bompresso per poi sparire sott’acqua.
Sembra che la scomparsa di
Mocha Dick avvenne nel 1859 ad opera di una baleniera svedese.
A questo e ad altri resoconti dell’epoca
Herman Melville si ispirò per uno dei più bei racconti di mare mai scritti: Moby Dick.


SITO AGGIORNATO AL 09.10.2015

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